Luigi Carbonetti

architetto

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Notizie

Testo di un succinto profilo storico antropologico di Monteleone di Spoleto pubblicato nel libro
“Tra racconto e reportage”

promosso dalla Provincia di Perugia, il Comune di Monteleone di Spoleto e l’Associazione ArcheoAmbiente, stampato nel febbraio 2007


Mons Leonis
Il Leone degli Appennini

Monteleone di Spoleto. Il vero nome già da prima dell’anno 1000 era Mons Leonis, ma nel 1701 Antonio Piersanti intitola il libro della descrizione del paese “il Leone degli Appennini[1], che la dice lunga sulla posizione strategica e sulla tenacia dei suoi abitanti.

Quello che noi vediamo oggi, soprattutto l’abitato dentro le mura, è il risultato dei grandi sconvolgimenti politici, commerciali ed urbanistici dovuti alla vittoria dei Guelfi sui Ghibellini con la conseguente creazione, a partire dal 1266, dello Stato della Chiesa e del Regno delle due Sicilie.

Ma andiamo per ordine. Questo è un luogo montuoso, molto accidentato. Prima dell’uso dell’automobile, le percorrenze ed attraversamenti erano notevolmente condizionati dalla morfologia del terreno. Se analizziamo l’ambito territoriale di Monteleone con questi parametri, se immaginiamo di doverci spostare, vivere, mangiare, cacciare, coltivare, commerciare senza l’ausilio dell’automobile, scopriremo che le antiche strade sono il percorso meno faticoso che migliaia d’anni hanno tracciato.

Il Terminillo ed il Vettore sono due massicci montuosi tra loro paralleli e posti secondo la direzione nord-sud dell’Italia. Se tracciamo una linea dal Tirreno all’Adriatico passante per le loro cime ci accorgeremo che la distanza tra di essi rappresenta circa la terza parte interna; potremmo dire che dal Terminillo si vede Roma (il Tirreno) ed il Vettore, dal Vettore si vede il Terminillo e l’Adriatico (Ascoli Piceno). La linea immaginaria è la Via Salaria.

Sin dalla Preistoria gli spostamenti nord-sud in Italia, a parte coloro che si avventuravano per mare, passavano inevitabilmente tra questi due massicci montuosi, vuoi perché il percorso lungo la costa adriatica ha è intersecato da  fiumi e monti ortogonali all’eventuale percorrenza, vuoi perché la parte verso il tirreno è stata in genere paludosa ed attraversata da ampi fiumi.

A me piace pensare, anche per semplificare, che fin dall’età del bronzo, ma anche prima, nel centro dell’Italia vi fosse una grande strada che aveva due “caselli”, l’uno a Spoleto, l’altro a Benevento; tra le due città, le percorrenze, nel tracciato principale, non superavano mai i mille metri d’altitudine e non scendevano sotto i cinquecento; questa era una grande comodità e, se lungo il percorso vi erano popolazioni “amiche”, era anche garantita la sicurezza del viaggio. Le estremità del percorso si connettevano, a sud-ovest con il Golfo di Napoli e Salerno (tirreno), a sud-est con le Puglie e Brindisi (Adriatico); a Spoleto erano spalancate le percorrenze a nord-ovest verso Orte ed il Viterbese, a nord, attraverso la pianura umbra, l’alto tiberino verso la Toscana e l’Emilia.

Le tracce di tali ipotesi sono state ben evidenziate da G. Schmiedt[2] con la localizzazione dei “castellieri” di costruzione pre-romana lungo questo percorso, che è costellato da ritrovamenti etruschi, greci e d’epoche più antiche.

Solo negli ultimissimi anni si stanno approfondendo gli studi su questo argomento. Nel 2001, su promozione dell’Associazione ArcheoAmbiente di Monteleone, di concerto con la Soprintendenza Archeologica Umbra, io stesso ho diretto i rilievi dello scavo di uno di questi insediamenti nei pressi di Trivio, frazione di Monteleone. È a tutti nota la biga di Monteleone di Spoleto che recenti studi datano del VI secolo a.c.[3]. Poche persone, invece, sanno che a Sulmona, più in basso del “romitorio” di Celestino V, si trovano i resti di un tempio greco dedicato ad Ercole.

Non andiamo oltre nella descrizione dei documenti e resti archeologici poiché non è questo lo scopo di questa presentazione che invece vuole, anche se in maniera discorsiva, approfondire le cause, i fatti, gli accadimenti che hanno prodotto il paese di Monteleone ed il suo territorio consegnandocelo così come lo troviamo, apprezzato ed amato dai residenti, dagli oriundi e ammirato da tutti coloro che lo hanno conosciuto.

Sappiamo che i Romani nel IV secolo a.c. avevano già conquistato la Sabina, Curio Dentato nel 271 a.c. aveva prosciugato la piana di Rieti e “creato” la bellissima cascata delle Marmore;, Roma aveva con i Piceni una  stretta alleanza; ciò non era sufficiente per una sicura percorrenza della Salaria, collegamento tra i due mari e, nello stesso tempo, muro dogana per i traffici commerciali e culturali tra le popolazioni delle montagne appenniniche.

L’Appennino centrale era abitato da diverse popolazioni che vivevano in “relativa” pace, avevano scambi commerciali, culturali e garantivano la percorrenza tra il nord ed il Sud: Etruschi, Galli, Umbri a Nord, Osci, Sabini, Sanniti, Greci a Sud.

L’esigenza dei Romani di aprire un collegamento con all’adriatico e di interrompere i traffici di “entroterra” portò all’inevitabile scontro.

Nel 295 a.c. l’alleanza dei Galli, Etruschi, Sanniti, Umbri fu sconfitta a Sentino, località in prossimità di Sassoferrato e Fabriano. La ferocia dei Romani fu esemplare e completa; oltre ai morti in battaglia 30.000, furono poi sistematicamente trucidate le popolazioni di quelle città che provarono a mantenere la loro autonomia: Perugia, Volsinio, Russelle, ed altre dell’Etruria e Umbria.

Da quel momento l’Italia centrale fu sotto il controllo di Roma. La conseguente costruzione del sistema di potenza dei Romani con la realizzazione delle strade a fondovalle, (Salaria, Flaminia, ecc.)  e la bonifica delle zone paludose fece perdere l’importanza di questi luoghi. Unico centro di una certa rilevanza rimase Norcia, oltre evidentemente a Spoleto che rimase snodo sulla Flaminia verso le Marche e riferimento verso la Valnerina e Benevento sulla Via Appia e verso gli Abruzzi.

Con la Caduta dell’Impero Romano si persero tutti i servizi che un governo forte e ben organizzato aveva garantito. Le strade divennero meno sicure, i canali di bonifica e gli acquedotti non furono curati; la popolazione si ritirò nelle ville di campagna protette e organizzate da nobili e signori. Da quel momento si costruirono o si riattivarono gli abitati fortificati, in genere nei luoghi più alti, le strade abbandonarono i fondovalle, l’Italia si popolò di una miriade di piccoli castelli.

Si ricominciarono a popolare le montagne e ripresero importanza le vie di comunicazione preromane. Nell’VIII secolo Tiberto, figlio di un nobile romano di Arrone, divenne tenutario dei castelli di tutta la valle del Corno, i Tiberti furono signori di Monteleone sino al 1461.

Il Ducato di Spoleto e Benevento diventò un sistema importante del rinnovato asse commerciale Nord-Sud, luogo di passaggio delle merci e delle spezie allora fondamentali per la conservazione delle carni; la norcineria è un’attività che usa procedimenti e lavorazioni similari lungo tutto l’Appennino centrale.

Questa situazione muta ancora nella seconda metà del 1200 quando le nuove esigenze di commercio e di “democrazia” mettono a confronto il vecchio sistema feudale e la formazione dei nuovi Comuni. L’Italia si divise tra Ghibellini (Federico II) e Guelfi (comuni e papato). Nel 1268, dopo l’impiccagione di Corradino a Napoli, si cominciò ad instaurare il nuovo assetto dei poteri. Lo Stato Pontificio si estenderà dal Tirreno all’Adriatico, tagliando in due la penisola, a Sud si costituì il Regno di Napoli che, in seguito, diventerà delle Due Sicilie.

Abbiamo rammentato tutto ciò perchè il confine tra i nuovi stati passò tra il Terminillo ed il Vettore, i passaggi più comodi delle strade, furono controllati sia dal “Regno” che dallo Stato Pontificio, Monteleone si trovò al centro di questo grande stravolgimento territoriale.

Il nuovo assetto obbligò la riorganizzazione del confine, la scelta delle città da mantenere o abbandonare, la scelta delle strade; il risultato più evidente fu che “con le buone o con le cattive” si costrinsero le popolazioni della miriade di piccoli castelli della valle a rientrare in quattro grandi Comuni, con centri “difendibili” che avrebbero garantito le esigenze del Confine tra il Teminillo ed il Vettore: Norcia, Cascia e Monteleone nello Stato Pontificio, Leonessa nel Regno di Napoli.

Leonessa è la città più “artificiale” realizzata: essa è posta infatti sul punto più stretto a guardia del passaggio sul fiume Corno,[4] il suo territorio, molto esteso, arriva sino al salto del Cieco, passaggio al limite dei 1000 mslm. attraverso cui i flussi provenienti da sud giungono in Valnerina nei pressi di Ferentillo e quindi a Terni e Spoleto. Monteleone controlla la forca di Rescia e la forchetta di Usigni, Cascia la Forca. Tutti questi passi sono non oltre i 1000 metri.

La fotografia del nuovo assetto, della Valle del Corno e dell’abitato, è fornita dalle relazioni delle “rationes decimarun”[5] del 1333. A quella data anche il paese si era formato ed aveva assunto le dimensioni dell’attuale centro storico. S.Francesco, costruito intorno al 1280 fuori del castello, viene inglobato nelle nuova mura costruite per proteggere il nuovo rione del borgo ove furono ospitate le popolazioni dei castelli limitrofi abbandonati. Nel 1310 la Chiesa di S. Giovanni e quella di S. Caterina erano già costruite e si trovavano dentro le mura.

Questo assetto urbano ed urbanistico si è rafforzato nei secoli seguenti. Il comune era sede di molteplici attività commerciali ed artigianali e, la ricchezza, può essere evinta dalla bellezza e sontuosità di molti edifici e dagli arredi delle chiese.

Ad accrescere l’economia contribuì anche l’apertura di una ferriera per la prima raffinazione di materiali ferrosi. Urbano VIII nel 1634 inaugura la strada che collega Monteleone a Strettura per facilitare il trasporto verso Terni.

Dal 1500 al 1700 il paese è investito da un grande sviluppo; le famiglie avevano continui contatti con Roma; erano presenti due ordini religiosi, le monache agostiniane di S. Caterina ed il convento dei Francescani. Quest’ultimo aveva grande potere, alcuni frati Monteleonesi assunsero cariche importanti anche a livello nazionale. La vicinanza con Spoleto ed i buoni rapporti con il Regno di Napoli, fece progredire i commerci; il territorio ricco di boschi, sorgenti e pascoli era perfettamente organizzato e curato.

Questa positiva stabilità venne interrotta, nel gennaio del 1703 da un grande terremoto che investì tutta l’Italia centrale ed in questi luoghi fu particolarmente disastroso causando molti morti.

Il pontefice di quegli anni, Clemente XI, profuse grandi sforzi per la ricostruzione delle abitazioni, delle chiese e delle fabbriche; importanti architetti vengono mandati nella Valnerina e finanziamenti vengono erogati anche alle popolazioni.

La ferriera gravemente danneggiata, in poco tempo fu riparata, ma un nuovo terremoto nel 1730 ridistrusse la paratia del fiume, l’acqua per alcuni anni (viene riferito diciotto) scomparve. Vennero abbandonate le lavorazioni. Durante la Repubblica Romana si cercò di riprendere l’attività, ma da calcoli attenti si dimostrò che non era più economico produrre a Monteleone, anche perché altri luoghi, ad esempio Scheggino, operavano queste lavorazioni in condizioni più agevoli.

Questo fu un duro colpo all’economia del paese e per coloro che venivano impiegati per la raccolta del materiale, il taglio della legna, la trasformazione in carbone, le manutenzioni e le costruzioni degli impianti. Da quel momento iniziò un lento declino del paese dovuto oltre che ai terremoti, anche ai nuovi sistemi di produzione ed alla rivoluzione industriale che faceva sentire i suoi effetti. Le attività economiche rimasero quelle della pastorizia, agricoltura di montagna, artigianato di ambito locale.

Con l’unità d’Italia avvengono notevoli sconvolgimenti del territorio e dell’abitato. Lo Stato unitario emana le leggi “inique” con cui requisisce i beni ecclesiastici: a Monteleone le proprietà degli ordini religiosi erano molto estese. I conventi e le proprietà dei Francescani e delle monache di S. Caterina furono acquisite in parte da privati ed in parte dal “Consorzio dei Possidenti”.[6]

Parte di questo patrimonio fu acquisita dalla famiglia Congiunti che espresse il primo sindaco di Monteleone[7]. Questi divenne proprietario del palazzo del Governatore, ora chiamato Congiunti e fu artefice di molte trasformazioni al fine di adeguare il tessuto urbano alle nuove esigenze. Una nuova strada “carrabile” attraversò il Borgo passando per una breccia nelle mura, chiamata porta campanella. Da qui, sopra “l’orto dei frati“,[8] si giungeva all’attuale Piazza Margherita, dalla quale furono fatte partire le cordonate che attraverso la torre dell’orologio portavano a S. Nicola e la “strada nuova” che collegò il Borgo a S. Gilberto. Queste operazioni nel 1901 erano tutte terminate tant’è che fuori porta campanella lungo la strada sorsero le officine dei “ferrari” (maniscalchi e fabbri); oggi, più in là, al loro posto c’è il meccanico gommista

Tutte queste operazioni urbanistiche furono molto importanti e tesero a ricollegare le parti del paese, prima rigidamente separate in terzieri, riconnettendole in maniera utile per l’epoca. Occorre rammentare che di questa organizzazione urbana e sociale si era persa completamente la memoria sino a quando io stesso, durante gli studi storici per la redazione del Piano di recupero del Centro Storico, analizzando il Brogliando del Catasto Gregoriano (1830), mi resi conto che il paese era diviso in tre rioni rigidamente definiti e racchiusi da porte e mura.

A mio parere, il sistema dei terzieri, a parte gli aspetti folkloristici, era un sistema di controllo economico e sociale del potere fino all’Unità d’Italia. Appena possibile, come in altre parti della nazione, si demolirono quelle barriere fisiche che erano state strumento o simbolo di oppressione.

I Comuni montani vennero serviti da una strada carrabile che collegava Rieti, Leonessa, Monteleone, Cascia, Serravalle quindi la Valnerina e Norcia. Da Monteleone si arrivava a Poggiodomo dove finiva la carrabilità, proprio dove era più necessaria; Monteleone era sotto la Provincia di Perugia ma i collegamenti carrabili più comodi portavano a Rieti che stava nel Lazio, le vecchie strade, per cui questi paesi erano strutturati, si sono riattivate solo dopo il 1970, il collegamento verso Ferentillo e Terni (Salto del Cieco, per cui si divise la piana tra Leonessa e Monteleone) è stato asfaltato dopo il 2000.

Con il mutamento dei sistemi di spostamento, la velocità commerciale passò da quattro a quaranta chilometri all’ora; chi stava fuori dei nuovi parametri non stava nel “mercato”. È chiaro che la mancanza di strade che riproponessero i vecchi tracciati storici e, quindi, allungavano e i tempi di percorrenza rendendo disagevoli i trasporti, è stata la causa principale dell’isolamento commerciale di queste comunità e del loro declino economico e sociale.

Se il 1901 fu l’anno in cui si giunse al massimo storico del numero dei residenti (2017), da quel momento la popolazione diminuì costantemente sino ad arrivare nel 1981 a 684 residenti con una presenza di 593 persone su tutto il territorio comunale.

Agli inizi del 1900 forte fu la carenza di lavoro in tutta la Nazione. Da Monteleone due furono le mete principali dei flussi migratori: una la Capitale, l’altra l’America.

In America si stabilirono soprattutto nella costa occidentale, dove li aveva preceduti nel 1865 Padre Pietro Jachetti[9] che nel 1869 fu nominato parroco nella chiesa di S. Bonifazio a Trenton.

Nel maggio del 1907 fu fondata la “Società Monteleonese di Trenton” che contava 55 “fratelli”[10], nel maggio del 1932 la società era di 200 componenti con in cassa “la cospicua somma” di 5000 dollari, il presidente era Giorgio Calisti ed il vice Giulio Pierleonardi.

Lo spopolamento si arrestò nei primi anni venti: nel 1931 si contavano 1842 residenti. Lo sviluppo del terziario e dell’industria richiamarono a Roma le popolazioni dell’Appennino. Moltissimi monteleonesi migrarono ancora verso la Capitale, carbonari, norcini, muratori, artigiani, ristoratori lasciarono il paese e si costruirono una nuova vita; molti “fecero fortuna” alcuni diventarono anche famosi. L’artigianato del paese rimase ai minimi termini, le uniche attività rimaste erano una povera agricoltura, la pastorizia e lo sfruttamento dei boschi. È importante sottolineare che la pastorizia non fu mai interrotta per millenni, compresa la pratica della “transumanza” da qui fino “a Maremma”. Ancora negli anni cinquanta, quando si iniziò a portare le pecore con i camion, a settembre-ottobre si partiva a piedi sulla strada verso il Salto del Cieco, si attraversava Terni, Orte e si arrivava dopo quattro o sei giorni nel Braccianese. Queste transumanze erano fonte di notevoli scambi commerciali, culturali e sociali, a ribadire, ancora, come fossero facili e continui gli scambi con le terre degli Etruschi; molti cognomi monteleonesi si ritrovano a Ronciglione, Anguillara, Canale Monteranno, Canino. Ho ancora vivo il ricordo di Leandro che partiva da Ferentillo e portava “le fiche” a Monteleone con l’asino; era la frutta dolce che non cresceva alle nostre altitudini, era la festa dei bambini.

Fino alla metà degli anni Sessanta il rapporto con il mondo esterno era affidato agli ambulanti che portavano le merci ancora a dorso di muli, i più organizzati con i camion.

Nel secondo dopoguerra lo spopolamento continuò con ritmo crescente[11] fino al 1981 quando rimasero pochi residenti, soprattutto contadini, pastori e boscaioli; il carbone era stato soppiantato del gas.

Nel 1979 vi fu un nuovo tremendo terremoto che provocò molti danni in tutto il comune. Dobbiamo sottolineare che la Regione Umbria si adoperò in maniera fattiva, programmatica ed operativa; furono organizzati i Piani di Recupero dei Comuni. I residenti rimasti e gli oriundi, d’intesa con le amministrazioni Comunale e Regionale, cominciarono la ricostruzione. Questo periodo richiama forze lavorative in loco: si assiste al congelamento della fuga dal paese; molti oriundi ritornano a lavorare e, soprattutto, gli artigiani si riinsediano nelle case dei loro padri.

Le imprese edili aumentano; il fabbro diventa residente; la falegnameria si amplia; i tecnici abitano il paese; si riattiva la vita sociale. Tra le attività culturali è da menzionare la ricomposizione della Banda musicale, già attiva agli inizi del 1900 poi sciolta nel Primo dopoguerra. A metà degli anni Settanta si ricompone la formazione con i nonni che guidavano i figli e nipoti: il maestro era il famoso “Paride” di Cascia che, con passione e dedizione, rimise insieme un corpo bandistico di tutto rispetto intitolato a Carlo Innocenzi[12]; oggi possiamo affermare che tutti i Monteleonesi sanno leggere la musica e suonare uno strumento. Non è certo cosa di poco conto. Dopo pochi anni si è formato anche un gruppo corale dedicato ad Emma Vannozzi.

Questa nuova vitalità ed il recupero funzionale delle abitazioni[13] fa sì che gli emigrati ritornino per periodi più lunghi e che i pensionati passino la loro vecchiaia insieme con i vecchi compagni di gioventù. Assistiamo allora anche all’apertura della bottega del “bastaio”! I vecchi saperi si riattivano per fare le selle dei cavalli che sono tenuti nei nuovi agriturismi o nei rinati casali agricoli. In questo periodo, grazie anche ad una sapiente e tenace azione culturale, è promossa la coltivazione e commercializzazione delle colture autoctone; il farro di Monteleone diviene famoso in tutta Italia, si ricoltiva le lenticchia, si allevano bovini, ovini, api. Nell’ambito dei recupero dagli edifici pubblici viene riattivato il Teatro Comunale ormai funzionante a pieno regime e con buon successo di presenze.

Oltre ed una sempre più continua azione della “pro loco” nascono altre associazioni che traggono dal territorio, dalla storia, dall’ambiente l’ispirazione e lo spunto per fissare e migliorare la conoscenza e la crescita culturale del paese. Oltre all’ArcheoAmbiente si costituisce l’associazione degli atrofili denominata il “Leone e la luna”, la possibilità di tenere i cavalli nei “rinati casali” spinge alla formazione di un associazione denominata “Belve degli Appennini” costituita da appassionati degli animali e del territorio “pre-meccanizzazione”; questi ripercorrono i vecchi sentieri coprendo distanze e percorsi che culturalmente ed a memoria d’uomo erano stati dimenticati.

Due feste storiche che nel tempo avevano perso d’importanza, vengono rivisitate e potenziate. La festa di S.Nicola (patrono del Comune) il 6 dicembre si collega alla tradizione del “focone” del 9 e la prima settimana di dicembre diventa la presentazione dei prodotti agricoli, culturali e delle nuove attività, spesso la neve ed il freddo danno particolare suggestione a questo evento. Il giorno di ferragosto l’Amministrazione Comunale consegna il cero alla Parrocchia e viene rinnovato il gemellaggio con Massa il tutto è rappresentato con un corteo storico che ogni anno diventa più numeroso e ricco di costumi.

La vita, per coloro che sono rimasti, diventa meno dura e più consona agli stili e standard odierni. Cambiano anche i tempi per raggiungere il resto dell’Umbria.

Prima si rifanno, sopra i vecchi tracciati, le strade di Gavelli e di Poggiodomo[14], si apre il tunnel sotto Forca Canapine, nell’ottobre 2004 si inaugura l’adeguamento e la riapertura della strada del Salto del Cieco che da Villa Pulcini arriva a Polino e Ferentillo[15], ma il vero salto di qualità si ha quando si attiva la galleria di S. Anatolia; è in quel momento che Monteleone “ridiventa” di Spoleto, dove si va a partorire, non più a Cascia; si ha un’assistenza più sicura, i giovani possono andare “alle superiori” senza “dormire fuori”.

Certo tutto questo non è ancora sufficiente per superare l’urbanesimo che questo tipo di progresso ha provocato, ma sicuramente si sta correggendo quel terribile “scherzo” fatto alla Valle del Corno con l’unità d’Italia che ha reso difficilissima qualsiasi attività verso l’esterno. Le nuove tecnologie, la laboriosità e la tenacia dei monteleonesi, la maggiore ricchezza nazionale auspichiamo che porterà probabilmente al superamento di tutti gli ostacoli.

Luigi Carbonetti Architetto

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[1] A.Piersanti “Il leone degli Appennini e sue vicende….” In Roma. Per Domenico Antonio Ercole 1702.

[2] G. Schmiedt. Contributo della foto interpretazione alla conoscenza della rete stradale dell’Umbria nell’alto Medioevo in “Atti del VI convegno di studi Umbri”. Gubbio 1965

[3] La biga fu trovata, nel 1901, nei pressi di Colle Capitano, dopo vicissitudini poco trasparenti fu portata al Museo Metropolitan di New York dove è tuttora esposta. Da pochi anni l’Amministrazione Comunale sta intraprendendo energiche e tenaci azioni per riportarla a Monteleone. Negli anni ottanta, dagli artigiani artisti della scuola del Manzù, ne è stata ricostruita una copia a grandezza naturale ora esposta nel Convento di S.Francesco.

[4] Non propriamente felice è la posizione di Leonessa, obbligata da motivi strategici; si dice “Leonessa d’estate senza sole, d’inverno senza luna”. Su un castello già esistente, confluirono le popolazioni di agglomerati che furono abbandonati.

[5] Agli inizi del 1300 il papa per fece censire tutte le chiese e Pievi dello stato per esigere le “decime” tasse. Il censimento è stato ripubblicato nel 1952 in esso si possono verificare le chiese e Pievi presenti nel 1333.

[6] Il Consorzio dei Possidenti è un ente, ancora oggi funzionante, che fu costituito agli inizi del 1800 “..con una convenzione tra i possidenti del Comune di Monteleone di Spoleto, ivi domiciliati e residenti e il Buon Governo…”, per acquisire e gestire gli usi civici, in particolare di boschi e pascoli. Del Consorzio fanno parte i capifamiglia residenti nel Comune da almeno cinque anni.

[7] Antonio Congiunti fu sindaco nel 1871, Giuseppe Congiunti dal 1878 al 1880.

[8] L’attuale monumento ai caduti è la parte rimanente dell’orto del convento dei francescani dopo la costruzione della strada carrabile e della strada nuova.

[9] Padre Pietro Jachetti nacque a Monteleone nel 1836 da Margherita e Giovanni Jachetti, fu mandato dai Francescani in America a Trenton. Egli era il riferimento dei Monteleonesi che arrivavano. Tornò in Italia dopo 35 anni, morì a Spello il 4 aprile 1901.

[10] Nel conto sono considerati solo uomini.

[11] Popolazione residente e variazioni percentuali dall’Unità d’Italia ad oggi nel Comune di Monteleone di Spoleto.

anno

pop. residente

Var.num.

%

 

anno

pop. residente

Var.num

%

 

anno

pop. residente

Var.num

%

1861

1781

 

 

 

1921

1766

-9

-0,5

 

1971

836

-268

-24,3

1871

1546

-235

-13,2

 

1931

1842

76

4,3

 

1981

684

-152

-18,2

1881

2006

460

29,8

 

1936

1358

-484

-26,3

 

1991

663

-21

-3,1

1901

2017

11

0,5

 

1951

1346

-12

-0,9

 

2001

681

18

2,7

1911

1775

-242

-12,0

 

1961

1104

-242

-18,0

 

2005

652

-29

-4,3

[12]Carlo Innocenzi, nato a Monteleone (1899-1962), maestro di musica famoso negli anni cinquanta; compose la musica di molti films prodotti a Cinecittà, fu autore di canzoni di successo, ricordiamo “Addio sogni di gloria” e “Mille lire al Mese”, scrisse anche due canzoni appositamente dedicate alla “sua” gente: un passo di queste recita: “.. son tre chiese dieci case ma son buone e generose le persone, sono di Monteleone….”.

[13]Molte delle abitazioni del Centro Storico sono rimaste proprietà degli oriundi e dei loro discendenti. Essi le hanno restaurate rispettando le regole del Piano di Recupero, a volte meglio delle loro abitazioni in ”città”, dimostrando, ancora che l’attaccamento e l’amore per questo paese di origine è difficile da sradicare.

[14]La strada di Gavelli è stata fatta alla fine degli anni Sessanta ed asfaltata negli anni Settanta.

[15]Si può andare dalle Ville di Leonessa o dalla “miniera” di Monteleone a Polino, questo passo che determinava la parte più settentrionale del confine del Regno delle Due Sicilie era rimasto impraticato da un secolo..

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Testo di un succinto profilo storico antropologico di Monteleone di Spoleto pubblicato nel libro
“Tra racconto e reportage”

promosso dalla Provincia di Perugia, il Comune di Monteleone di Spoleto e l’Associazione ArcheoAmbiente, stampato nel febbraio 2007


Mons Leonis
Il Leone degli Appennini

Monteleone di Spoleto. Il vero nome già da prima dell’anno 1000 era Mons Leonis, ma nel 1701 Antonio Piersanti intitola il libro della descrizione del paese “il Leone degli Appennini[1], che la dice lunga sulla posizione strategica e sulla tenacia dei suoi abitanti.

Quello che noi vediamo oggi, soprattutto l’abitato dentro le mura, è il risultato dei grandi sconvolgimenti politici, commerciali ed urbanistici dovuti alla vittoria dei Guelfi sui Ghibellini con la conseguente creazione, a partire dal 1266, dello Stato della Chiesa e del Regno delle due Sicilie.

Ma andiamo per ordine. Questo è un luogo montuoso, molto accidentato. Prima dell’uso dell’automobile, le percorrenze ed attraversamenti erano notevolmente condizionati dalla morfologia del terreno. Se analizziamo l’ambito territoriale di Monteleone con questi parametri, se immaginiamo di doverci spostare, vivere, mangiare, cacciare, coltivare, commerciare senza l’ausilio dell’automobile, scopriremo che le antiche strade sono il percorso meno faticoso che migliaia d’anni hanno tracciato.

Il Terminillo ed il Vettore sono due massicci montuosi tra loro paralleli e posti secondo la direzione nord-sud dell’Italia. Se tracciamo una linea dal Tirreno all’Adriatico passante per le loro cime ci accorgeremo che la distanza tra di essi rappresenta circa la terza parte interna; potremmo dire che dal Terminillo si vede Roma (il Tirreno) ed il Vettore, dal Vettore si vede il Terminillo e l’Adriatico (Ascoli Piceno). La linea immaginaria è la Via Salaria.

Sin dalla Preistoria gli spostamenti nord-sud in Italia, a parte coloro che si avventuravano per mare, passavano inevitabilmente tra questi due massicci montuosi, vuoi perché il percorso lungo la costa adriatica ha è intersecato da  fiumi e monti ortogonali all’eventuale percorrenza, vuoi perché la parte verso il tirreno è stata in genere paludosa ed attraversata da ampi fiumi.

A me piace pensare, anche per semplificare, che fin dall’età del bronzo, ma anche prima, nel centro dell’Italia vi fosse una grande strada che aveva due “caselli”, l’uno a Spoleto, l’altro a Benevento; tra le due città, le percorrenze, nel tracciato principale, non superavano mai i mille metri d’altitudine e non scendevano sotto i cinquecento; questa era una grande comodità e, se lungo il percorso vi erano popolazioni “amiche”, era anche garantita la sicurezza del viaggio. Le estremità del percorso si connettevano, a sud-ovest con il Golfo di Napoli e Salerno (tirreno), a sud-est con le Puglie e Brindisi (Adriatico); a Spoleto erano spalancate le percorrenze a nord-ovest verso Orte ed il Viterbese, a nord, attraverso la pianura umbra, l’alto tiberino verso la Toscana e l’Emilia.

Le tracce di tali ipotesi sono state ben evidenziate da G. Schmiedt[2] con la localizzazione dei “castellieri” di costruzione pre-romana lungo questo percorso, che è costellato da ritrovamenti etruschi, greci e d’epoche più antiche.

Solo negli ultimissimi anni si stanno approfondendo gli studi su questo argomento. Nel 2001, su promozione dell’Associazione ArcheoAmbiente di Monteleone, di concerto con la Soprintendenza Archeologica Umbra, io stesso ho diretto i rilievi dello scavo di uno di questi insediamenti nei pressi di Trivio, frazione di Monteleone. È a tutti nota la biga di Monteleone di Spoleto che recenti studi datano del VI secolo a.c.[3]. Poche persone, invece, sanno che a Sulmona, più in basso del “romitorio” di Celestino V, si trovano i resti di un tempio greco dedicato ad Ercole.

Non andiamo oltre nella descrizione dei documenti e resti archeologici poiché non è questo lo scopo di questa presentazione che invece vuole, anche se in maniera discorsiva, approfondire le cause, i fatti, gli accadimenti che hanno prodotto il paese di Monteleone ed il suo territorio consegnandocelo così come lo troviamo, apprezzato ed amato dai residenti, dagli oriundi e ammirato da tutti coloro che lo hanno conosciuto.

Sappiamo che i Romani nel IV secolo a.c. avevano già conquistato la Sabina, Curio Dentato nel 271 a.c. aveva prosciugato la piana di Rieti e “creato” la bellissima cascata delle Marmore;, Roma aveva con i Piceni una  stretta alleanza; ciò non era sufficiente per una sicura percorrenza della Salaria, collegamento tra i due mari e, nello stesso tempo, muro dogana per i traffici commerciali e culturali tra le popolazioni delle montagne appenniniche.

L’Appennino centrale era abitato da diverse popolazioni che vivevano in “relativa” pace, avevano scambi commerciali, culturali e garantivano la percorrenza tra il nord ed il Sud: Etruschi, Galli, Umbri a Nord, Osci, Sabini, Sanniti, Greci a Sud.

L’esigenza dei Romani di aprire un collegamento con all’adriatico e di interrompere i traffici di “entroterra” portò all’inevitabile scontro.

Nel 295 a.c. l’alleanza dei Galli, Etruschi, Sanniti, Umbri fu sconfitta a Sentino, località in prossimità di Sassoferrato e Fabriano. La ferocia dei Romani fu esemplare e completa; oltre ai morti in battaglia 30.000, furono poi sistematicamente trucidate le popolazioni di quelle città che provarono a mantenere la loro autonomia: Perugia, Volsinio, Russelle, ed altre dell’Etruria e Umbria.

Da quel momento l’Italia centrale fu sotto il controllo di Roma. La conseguente costruzione del sistema di potenza dei Romani con la realizzazione delle strade a fondovalle, (Salaria, Flaminia, ecc.)  e la bonifica delle zone paludose fece perdere l’importanza di questi luoghi. Unico centro di una certa rilevanza rimase Norcia, oltre evidentemente a Spoleto che rimase snodo sulla Flaminia verso le Marche e riferimento verso la Valnerina e Benevento sulla Via Appia e verso gli Abruzzi.

Con la Caduta dell’Impero Romano si persero tutti i servizi che un governo forte e ben organizzato aveva garantito. Le strade divennero meno sicure, i canali di bonifica e gli acquedotti non furono curati; la popolazione si ritirò nelle ville di campagna protette e organizzate da nobili e signori. Da quel momento si costruirono o si riattivarono gli abitati fortificati, in genere nei luoghi più alti, le strade abbandonarono i fondovalle, l’Italia si popolò di una miriade di piccoli castelli.

Si ricominciarono a popolare le montagne e ripresero importanza le vie di comunicazione preromane. Nell’VIII secolo Tiberto, figlio di un nobile romano di Arrone, divenne tenutario dei castelli di tutta la valle del Corno, i Tiberti furono signori di Monteleone sino al 1461.

Il Ducato di Spoleto e Benevento diventò un sistema importante del rinnovato asse commerciale Nord-Sud, luogo di passaggio delle merci e delle spezie allora fondamentali per la conservazione delle carni; la norcineria è un’attività che usa procedimenti e lavorazioni similari lungo tutto l’Appennino centrale.

Questa situazione muta ancora nella seconda metà del 1200 quando le nuove esigenze di commercio e di “democrazia” mettono a confronto il vecchio sistema feudale e la formazione dei nuovi Comuni. L’Italia si divise tra Ghibellini (Federico II) e Guelfi (comuni e papato). Nel 1268, dopo l’impiccagione di Corradino a Napoli, si cominciò ad instaurare il nuovo assetto dei poteri. Lo Stato Pontificio si estenderà dal Tirreno all’Adriatico, tagliando in due la penisola, a Sud si costituì il Regno di Napoli che, in seguito, diventerà delle Due Sicilie.

Abbiamo rammentato tutto ciò perchè il confine tra i nuovi stati passò tra il Terminillo ed il Vettore, i passaggi più comodi delle strade, furono controllati sia dal “Regno” che dallo Stato Pontificio, Monteleone si trovò al centro di questo grande stravolgimento territoriale.

Il nuovo assetto obbligò la riorganizzazione del confine, la scelta delle città da mantenere o abbandonare, la scelta delle strade; il risultato più evidente fu che “con le buone o con le cattive” si costrinsero le popolazioni della miriade di piccoli castelli della valle a rientrare in quattro grandi Comuni, con centri “difendibili” che avrebbero garantito le esigenze del Confine tra il Teminillo ed il Vettore: Norcia, Cascia e Monteleone nello Stato Pontificio, Leonessa nel Regno di Napoli.

Leonessa è la città più “artificiale” realizzata: essa è posta infatti sul punto più stretto a guardia del passaggio sul fiume Corno,[4] il suo territorio, molto esteso, arriva sino al salto del Cieco, passaggio al limite dei 1000 mslm. attraverso cui i flussi provenienti da sud giungono in Valnerina nei pressi di Ferentillo e quindi a Terni e Spoleto. Monteleone controlla la forca di Rescia e la forchetta di Usigni, Cascia la Forca. Tutti questi passi sono non oltre i 1000 metri.

La fotografia del nuovo assetto, della Valle del Corno e dell’abitato, è fornita dalle relazioni delle “rationes decimarun”[5] del 1333. A quella data anche il paese si era formato ed aveva assunto le dimensioni dell’attuale centro storico. S.Francesco, costruito intorno al 1280 fuori del castello, viene inglobato nelle nuova mura costruite per proteggere il nuovo rione del borgo ove furono ospitate le popolazioni dei castelli limitrofi abbandonati. Nel 1310 la Chiesa di S. Giovanni e quella di S. Caterina erano già costruite e si trovavano dentro le mura.

Questo assetto urbano ed urbanistico si è rafforzato nei secoli seguenti. Il comune era sede di molteplici attività commerciali ed artigianali e, la ricchezza, può essere evinta dalla bellezza e sontuosità di molti edifici e dagli arredi delle chiese.

Ad accrescere l’economia contribuì anche l’apertura di una ferriera per la prima raffinazione di materiali ferrosi. Urbano VIII nel 1634 inaugura la strada che collega Monteleone a Strettura per facilitare il trasporto verso Terni.

Dal 1500 al 1700 il paese è investito da un grande sviluppo; le famiglie avevano continui contatti con Roma; erano presenti due ordini religiosi, le monache agostiniane di S. Caterina ed il convento dei Francescani. Quest’ultimo aveva grande potere, alcuni frati Monteleonesi assunsero cariche importanti anche a livello nazionale. La vicinanza con Spoleto ed i buoni rapporti con il Regno di Napoli, fece progredire i commerci; il territorio ricco di boschi, sorgenti e pascoli era perfettamente organizzato e curato.

Questa positiva stabilità venne interrotta, nel gennaio del 1703 da un grande terremoto che investì tutta l’Italia centrale ed in questi luoghi fu particolarmente disastroso causando molti morti.

Il pontefice di quegli anni, Clemente XI, profuse grandi sforzi per la ricostruzione delle abitazioni, delle chiese e delle fabbriche; importanti architetti vengono mandati nella Valnerina e finanziamenti vengono erogati anche alle popolazioni.

La ferriera gravemente danneggiata, in poco tempo fu riparata, ma un nuovo terremoto nel 1730 ridistrusse la paratia del fiume, l’acqua per alcuni anni (viene riferito diciotto) scomparve. Vennero abbandonate le lavorazioni. Durante la Repubblica Romana si cercò di riprendere l’attività, ma da calcoli attenti si dimostrò che non era più economico produrre a Monteleone, anche perché altri luoghi, ad esempio Scheggino, operavano queste lavorazioni in condizioni più agevoli.

Questo fu un duro colpo all’economia del paese e per coloro che venivano impiegati per la raccolta del materiale, il taglio della legna, la trasformazione in carbone, le manutenzioni e le costruzioni degli impianti. Da quel momento iniziò un lento declino del paese dovuto oltre che ai terremoti, anche ai nuovi sistemi di produzione ed alla rivoluzione industriale che faceva sentire i suoi effetti. Le attività economiche rimasero quelle della pastorizia, agricoltura di montagna, artigianato di ambito locale.

Con l’unità d’Italia avvengono notevoli sconvolgimenti del territorio e dell’abitato. Lo Stato unitario emana le leggi “inique” con cui requisisce i beni ecclesiastici: a Monteleone le proprietà degli ordini religiosi erano molto estese. I conventi e le proprietà dei Francescani e delle monache di S. Caterina furono acquisite in parte da privati ed in parte dal “Consorzio dei Possidenti”.[6]

Parte di questo patrimonio fu acquisita dalla famiglia Congiunti che espresse il primo sindaco di Monteleone[7]. Questi divenne proprietario del palazzo del Governatore, ora chiamato Congiunti e fu artefice di molte trasformazioni al fine di adeguare il tessuto urbano alle nuove esigenze. Una nuova strada “carrabile” attraversò il Borgo passando per una breccia nelle mura, chiamata porta campanella. Da qui, sopra “l’orto dei frati“,[8] si giungeva all’attuale Piazza Margherita, dalla quale furono fatte partire le cordonate che attraverso la torre dell’orologio portavano a S. Nicola e la “strada nuova” che collegò il Borgo a S. Gilberto. Queste operazioni nel 1901 erano tutte terminate tant’è che fuori porta campanella lungo la strada sorsero le officine dei “ferrari” (maniscalchi e fabbri); oggi, più in là, al loro posto c’è il meccanico gommista

Tutte queste operazioni urbanistiche furono molto importanti e tesero a ricollegare le parti del paese, prima rigidamente separate in terzieri, riconnettendole in maniera utile per l’epoca. Occorre rammentare che di questa organizzazione urbana e sociale si era persa completamente la memoria sino a quando io stesso, durante gli studi storici per la redazione del Piano di recupero del Centro Storico, analizzando il Brogliando del Catasto Gregoriano (1830), mi resi conto che il paese era diviso in tre rioni rigidamente definiti e racchiusi da porte e mura.

A mio parere, il sistema dei terzieri, a parte gli aspetti folkloristici, era un sistema di controllo economico e sociale del potere fino all’Unità d’Italia. Appena possibile, come in altre parti della nazione, si demolirono quelle barriere fisiche che erano state strumento o simbolo di oppressione.

I Comuni montani vennero serviti da una strada carrabile che collegava Rieti, Leonessa, Monteleone, Cascia, Serravalle quindi la Valnerina e Norcia. Da Monteleone si arrivava a Poggiodomo dove finiva la carrabilità, proprio dove era più necessaria; Monteleone era sotto la Provincia di Perugia ma i collegamenti carrabili più comodi portavano a Rieti che stava nel Lazio, le vecchie strade, per cui questi paesi erano strutturati, si sono riattivate solo dopo il 1970, il collegamento verso Ferentillo e Terni (Salto del Cieco, per cui si divise la piana tra Leonessa e Monteleone) è stato asfaltato dopo il 2000.

Con il mutamento dei sistemi di spostamento, la velocità commerciale passò da quattro a quaranta chilometri all’ora; chi stava fuori dei nuovi parametri non stava nel “mercato”. È chiaro che la mancanza di strade che riproponessero i vecchi tracciati storici e, quindi, allungavano e i tempi di percorrenza rendendo disagevoli i trasporti, è stata la causa principale dell’isolamento commerciale di queste comunità e del loro declino economico e sociale.

Se il 1901 fu l’anno in cui si giunse al massimo storico del numero dei residenti (2017), da quel momento la popolazione diminuì costantemente sino ad arrivare nel 1981 a 684 residenti con una presenza di 593 persone su tutto il territorio comunale.

Agli inizi del 1900 forte fu la carenza di lavoro in tutta la Nazione. Da Monteleone due furono le mete principali dei flussi migratori: una la Capitale, l’altra l’America.

In America si stabilirono soprattutto nella costa occidentale, dove li aveva preceduti nel 1865 Padre Pietro Jachetti[9] che nel 1869 fu nominato parroco nella chiesa di S. Bonifazio a Trenton.

Nel maggio del 1907 fu fondata la “Società Monteleonese di Trenton” che contava 55 “fratelli”[10], nel maggio del 1932 la società era di 200 componenti con in cassa “la cospicua somma” di 5000 dollari, il presidente era Giorgio Calisti ed il vice Giulio Pierleonardi.

Lo spopolamento si arrestò nei primi anni venti: nel 1931 si contavano 1842 residenti. Lo sviluppo del terziario e dell’industria richiamarono a Roma le popolazioni dell’Appennino. Moltissimi monteleonesi migrarono ancora verso la Capitale, carbonari, norcini, muratori, artigiani, ristoratori lasciarono il paese e si costruirono una nuova vita; molti “fecero fortuna” alcuni diventarono anche famosi. L’artigianato del paese rimase ai minimi termini, le uniche attività rimaste erano una povera agricoltura, la pastorizia e lo sfruttamento dei boschi. È importante sottolineare che la pastorizia non fu mai interrotta per millenni, compresa la pratica della “transumanza” da qui fino “a Maremma”. Ancora negli anni cinquanta, quando si iniziò a portare le pecore con i camion, a settembre-ottobre si partiva a piedi sulla strada verso il Salto del Cieco, si attraversava Terni, Orte e si arrivava dopo quattro o sei giorni nel Braccianese. Queste transumanze erano fonte di notevoli scambi commerciali, culturali e sociali, a ribadire, ancora, come fossero facili e continui gli scambi con le terre degli Etruschi; molti cognomi monteleonesi si ritrovano a Ronciglione, Anguillara, Canale Monteranno, Canino. Ho ancora vivo il ricordo di Leandro che partiva da Ferentillo e portava “le fiche” a Monteleone con l’asino; era la frutta dolce che non cresceva alle nostre altitudini, era la festa dei bambini.

Fino alla metà degli anni Sessanta il rapporto con il mondo esterno era affidato agli ambulanti che portavano le merci ancora a dorso di muli, i più organizzati con i camion.

Nel secondo dopoguerra lo spopolamento continuò con ritmo crescente[11] fino al 1981 quando rimasero pochi residenti, soprattutto contadini, pastori e boscaioli; il carbone era stato soppiantato del gas.

Nel 1979 vi fu un nuovo tremendo terremoto che provocò molti danni in tutto il comune. Dobbiamo sottolineare che la Regione Umbria si adoperò in maniera fattiva, programmatica ed operativa; furono organizzati i Piani di Recupero dei Comuni. I residenti rimasti e gli oriundi, d’intesa con le amministrazioni Comunale e Regionale, cominciarono la ricostruzione. Questo periodo richiama forze lavorative in loco: si assiste al congelamento della fuga dal paese; molti oriundi ritornano a lavorare e, soprattutto, gli artigiani si riinsediano nelle case dei loro padri.

Le imprese edili aumentano; il fabbro diventa residente; la falegnameria si amplia; i tecnici abitano il paese; si riattiva la vita sociale. Tra le attività culturali è da menzionare la ricomposizione della Banda musicale, già attiva agli inizi del 1900 poi sciolta nel Primo dopoguerra. A metà degli anni Settanta si ricompone la formazione con i nonni che guidavano i figli e nipoti: il maestro era il famoso “Paride” di Cascia che, con passione e dedizione, rimise insieme un corpo bandistico di tutto rispetto intitolato a Carlo Innocenzi[12]; oggi possiamo affermare che tutti i Monteleonesi sanno leggere la musica e suonare uno strumento. Non è certo cosa di poco conto. Dopo pochi anni si è formato anche un gruppo corale dedicato ad Emma Vannozzi.

Questa nuova vitalità ed il recupero funzionale delle abitazioni[13] fa sì che gli emigrati ritornino per periodi più lunghi e che i pensionati passino la loro vecchiaia insieme con i vecchi compagni di gioventù. Assistiamo allora anche all’apertura della bottega del “bastaio”! I vecchi saperi si riattivano per fare le selle dei cavalli che sono tenuti nei nuovi agriturismi o nei rinati casali agricoli. In questo periodo, grazie anche ad una sapiente e tenace azione culturale, è promossa la coltivazione e commercializzazione delle colture autoctone; il farro di Monteleone diviene famoso in tutta Italia, si ricoltiva le lenticchia, si allevano bovini, ovini, api. Nell’ambito dei recupero dagli edifici pubblici viene riattivato il Teatro Comunale ormai funzionante a pieno regime e con buon successo di presenze.

Oltre ed una sempre più continua azione della “pro loco” nascono altre associazioni che traggono dal territorio, dalla storia, dall’ambiente l’ispirazione e lo spunto per fissare e migliorare la conoscenza e la crescita culturale del paese. Oltre all’ArcheoAmbiente si costituisce l’associazione degli atrofili denominata il “Leone e la luna”, la possibilità di tenere i cavalli nei “rinati casali” spinge alla formazione di un associazione denominata “Belve degli Appennini” costituita da appassionati degli animali e del territorio “pre-meccanizzazione”; questi ripercorrono i vecchi sentieri coprendo distanze e percorsi che culturalmente ed a memoria d’uomo erano stati dimenticati.

Due feste storiche che nel tempo avevano perso d’importanza, vengono rivisitate e potenziate. La festa di S.Nicola (patrono del Comune) il 6 dicembre si collega alla tradizione del “focone” del 9 e la prima settimana di dicembre diventa la presentazione dei prodotti agricoli, culturali e delle nuove attività, spesso la neve ed il freddo danno particolare suggestione a questo evento. Il giorno di ferragosto l’Amministrazione Comunale consegna il cero alla Parrocchia e viene rinnovato il gemellaggio con Massa il tutto è rappresentato con un corteo storico che ogni anno diventa più numeroso e ricco di costumi.

La vita, per coloro che sono rimasti, diventa meno dura e più consona agli stili e standard odierni. Cambiano anche i tempi per raggiungere il resto dell’Umbria.

Prima si rifanno, sopra i vecchi tracciati, le strade di Gavelli e di Poggiodomo[14], si apre il tunnel sotto Forca Canapine, nell’ottobre 2004 si inaugura l’adeguamento e la riapertura della strada del Salto del Cieco che da Villa Pulcini arriva a Polino e Ferentillo[15], ma il vero salto di qualità si ha quando si attiva la galleria di S. Anatolia; è in quel momento che Monteleone “ridiventa” di Spoleto, dove si va a partorire, non più a Cascia; si ha un’assistenza più sicura, i giovani possono andare “alle superiori” senza “dormire fuori”.

Certo tutto questo non è ancora sufficiente per superare l’urbanesimo che questo tipo di progresso ha provocato, ma sicuramente si sta correggendo quel terribile “scherzo” fatto alla Valle del Corno con l’unità d’Italia che ha reso difficilissima qualsiasi attività verso l’esterno. Le nuove tecnologie, la laboriosità e la tenacia dei monteleonesi, la maggiore ricchezza nazionale auspichiamo che porterà probabilmente al superamento di tutti gli ostacoli.

Luigi Carbonetti Architetto

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[1] A.Piersanti “Il leone degli Appennini e sue vicende….” In Roma. Per Domenico Antonio Ercole 1702.

[2] G. Schmiedt. Contributo della foto interpretazione alla conoscenza della rete stradale dell’Umbria nell’alto Medioevo in “Atti del VI convegno di studi Umbri”. Gubbio 1965

[3] La biga fu trovata, nel 1901, nei pressi di Colle Capitano, dopo vicissitudini poco trasparenti fu portata al Museo Metropolitan di New York dove è tuttora esposta. Da pochi anni l’Amministrazione Comunale sta intraprendendo energiche e tenaci azioni per riportarla a Monteleone. Negli anni ottanta, dagli artigiani artisti della scuola del Manzù, ne è stata ricostruita una copia a grandezza naturale ora esposta nel Convento di S.Francesco.

[4] Non propriamente felice è la posizione di Leonessa, obbligata da motivi strategici; si dice “Leonessa d’estate senza sole, d’inverno senza luna”. Su un castello già esistente, confluirono le popolazioni di agglomerati che furono abbandonati.

[5] Agli inizi del 1300 il papa per fece censire tutte le chiese e Pievi dello stato per esigere le “decime” tasse. Il censimento è stato ripubblicato nel 1952 in esso si possono verificare le chiese e Pievi presenti nel 1333.

[6] Il Consorzio dei Possidenti è un ente, ancora oggi funzionante, che fu costituito agli inizi del 1800 “..con una convenzione tra i possidenti del Comune di Monteleone di Spoleto, ivi domiciliati e residenti e il Buon Governo…”, per acquisire e gestire gli usi civici, in particolare di boschi e pascoli. Del Consorzio fanno parte i capifamiglia residenti nel Comune da almeno cinque anni.

[7] Antonio Congiunti fu sindaco nel 1871, Giuseppe Congiunti dal 1878 al 1880.

[8] L’attuale monumento ai caduti è la parte rimanente dell’orto del convento dei francescani dopo la costruzione della strada carrabile e della strada nuova.

[9] Padre Pietro Jachetti nacque a Monteleone nel 1836 da Margherita e Giovanni Jachetti, fu mandato dai Francescani in America a Trenton. Egli era il riferimento dei Monteleonesi che arrivavano. Tornò in Italia dopo 35 anni, morì a Spello il 4 aprile 1901.

[10] Nel conto sono considerati solo uomini.

[11] Popolazione residente e variazioni percentuali dall’Unità d’Italia ad oggi nel Comune di Monteleone di Spoleto.

anno

pop. residente

Var.num.

%

 

anno

pop. residente

Var.num

%

 

anno

pop. residente

Var.num

%

1861

1781

 

 

 

1921

1766

-9

-0,5

 

1971

836

-268

-24,3

1871

1546

-235

-13,2

 

1931

1842

76

4,3

 

1981

684

-152

-18,2

1881

2006

460

29,8

 

1936

1358

-484

-26,3

 

1991

663

-21

-3,1

1901

2017

11

0,5

 

1951

1346

-12

-0,9

 

2001

681

18

2,7

1911

1775

-242

-12,0

 

1961

1104

-242

-18,0

 

2005

652

-29

-4,3

[12]Carlo Innocenzi, nato a Monteleone (1899-1962), maestro di musica famoso negli anni cinquanta; compose la musica di molti films prodotti a Cinecittà, fu autore di canzoni di successo, ricordiamo “Addio sogni di gloria” e “Mille lire al Mese”, scrisse anche due canzoni appositamente dedicate alla “sua” gente: un passo di queste recita: “.. son tre chiese dieci case ma son buone e generose le persone, sono di Monteleone….”.

[13]Molte delle abitazioni del Centro Storico sono rimaste proprietà degli oriundi e dei loro discendenti. Essi le hanno restaurate rispettando le regole del Piano di Recupero, a volte meglio delle loro abitazioni in ”città”, dimostrando, ancora che l’attaccamento e l’amore per questo paese di origine è difficile da sradicare.

[14]La strada di Gavelli è stata fatta alla fine degli anni Sessanta ed asfaltata negli anni Settanta.

[15]Si può andare dalle Ville di Leonessa o dalla “miniera” di Monteleone a Polino, questo passo che determinava la parte più settentrionale del confine del Regno delle Due Sicilie era rimasto impraticato da un secolo..

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Ultimo aggiornamento:
30-07-2014 15:49
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